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Calcio e integrazione: New Team, speranza rom
Calcio
Davide Boggia
03 Apr 2012
Calcio e integrazione: New Team, speranza rom

Molti anni fa, un vecchio argentino mezzo cieco scrisse: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa in strada, lì ricomincia la storia del calcio”. Quel vecchio si chiamava Jorge Luis Borges ed è improbabile che, pur essendo un genio, avesse avuto una tale premonizione. Eppure, adesso, sembra quasi stesse parlando della New Team Torino, una squadra di Pulcini iscritta al campionato Calcio a 5 Uisp. La scommessa del mister tuttofare Timothy Donato, un biellese che aveva anche giocato con Gilardino nelle giovanili della Cossatese e che ora fa l’educatore a Torino, è utilizzare il calcio come veicolo di integrazione tra i piccoli rom dei campi nomadi a nord della città e i coetanei italiani dello stesso territorio.
«È un’iniziativa fantastica – assicura Ferruccio Valzano, presidente del comitato Uisp – perché, a parte constatare il comportamento esemplare di questi ragazzini, è emozionante vedere il loro entusiasmo quando si rendono conto che sono legittimati a fare le stesse cose dei loro coetanei italiani». E così, l’espressione fiera e il sorriso luminoso di capitan Sami, con la divisa scintillante e i capelli pettinati con il gel in occasione della partita, ci riportano allo sport delle origini, quello puro, per mezzo del quale tutto è ancora possibile e incontaminato. Come diceva Borges. Se qualcuno si stesse chiedendo: “Con i rom? Gli zingari?”, la risposta è: “Sì, proprio con loro”. Poi la squadra si chiamerà New Team per qualche ragione, no? E se ci hanno fatto appassionare Holly e Benji, possono farlo anche Sami e Martin. Punto.
Mister Donato, cos’è la New Team Torino: più squadra di calcio o più laboratorio di integrazione sociale?
«La New Team è una squadra di calcio, di calcetto, e come ogni squadra di calcio è di per sé un laboratorio di integrazione sociale. La New Team nasce da “Nessuno Fuorigioco”, che è un progetto di coesione sociale, ma non solo. È innanzitutto un’occasione per il territorio, un’opportunità per tutti i bambini che amano il calcio ma che, per un motivo o per l’altro, non giocano in una squadra. È un progetto che coinvolge bambini rom che vivono nei campi di Torino nord, le loro famiglie e i loro coetanei non rom».
Come e da chi è nata l’idea di questo esperimento?
«È nata partendo da una riflessione: chi vive nel campo rom ha pochissime occasioni per uscirci, per incontrare l’altro e avere momenti di svago. Il gioco, diritto inalienabile di ogni bambino, è uno strumento educativo potentissimo e il calcio è un gioco meraviglioso, che tutti conoscono e amano. L’idea iniziale è stata condivisa con Costanza Frari e con due rappresentati della A.S. Franceschina, Emanuele La Ferla e Lorenzo Greppi».
Com’è stato possibile realizzarlo?
«Grazie alla passione delle tante persone che ci lavorano: Costanza, Emanuele e Lorenzo, con i loro pensieri e la loro dedizione, Marina, Oana e Roki (il mio vice allenatore rom) che lavorano a fianco dei bambini e delle loro famiglie. Gli allenamenti impegnano, oltre me e Roki, anche Amerigo, il nostro volontario che, sebbene giovanissimo, ha capito l’importanza del nostro progetto (mi spiace non riuscire a prendermi maggiormente cura di lui), e il grandissimo Giancarlo Marcon (ex Pro Patria e ex allenatore) che prepara il portiere. La realizzazione è stata possibile anche grazie ai contributi di Compagnia di San Paolo, della Franceschina e dell’associazione Esedra, che lavora per i nostri stessi obiettivi. Poi sono fondamentali tutte quelle persone che hanno iniziato a tifare la New Team, ancora prima che iniziasse il campionato».
Quali reazioni e comportamenti hanno avuto i ragazzi? E gli avversari?
«La squadra, in campionato, nonostante tre pesanti sconfitte, si sta comportando bene. C’è stato un netto miglioramento tra la prima partita (persa 10 a 0 contro il Borgonuovo femminile) e la seconda e la terza, in cui siamo riusciti a fare tre gol e a far vedere anche calcio (3-11 contro il Real Frassati e 3-7 col Massaua). È giusto imparare a sopportare le frustrazioni. Gli avversari giocano un calcio migliore del nostro e ci rispettano».
Perché disputate un torneo Uisp e non Figc?
«Il nostro desiderio era quello di partecipare ad un campionato Figc, ma questo non è stato possibile perché esiste una norma che impedisce il tesseramento ai minori non residenti e la maggior parte dei miei bambini vive nel comune di Torino e ne frequenta le scuole, ma ha la residenza in Romania. Il progetto, che fino ad allora si chiamava più pacificamente, “Calcio per Tutti”, si è trasformato nel più agguerrito “Nessuno Fuorigioco”. Condividiamo con la Uisp la necessità di estendere a tutti il diritto allo sport, come dicono loro, “sportpertutti”, una sola parola».
Ci parli dei miglioramenti tecnico-tattici e comportamentali del gruppo.
«Finalmente parliamo di calcio – mister Tim ride – i bambini stanno acquisendo una maggior consapevolezza del gioco e delle regole e, contemporaneamente, stanno accrescendo le loro abilità tecniche. Quanto alla tattica, beh, c’è ancora tanto da fare. Ho scelto un modulo a rombo che dovrebbe assicurare alla squadra un maggior equilibrio, ma per ora non si vede… Il modulo a rombo inoltre mi sembra propedeutico per il calcio vero, quello a 7 o a 11, perché insegna, quasi naturalmente, la fase offensiva e quella difensiva agli esterni e potenzia le abilità registiche del centrale basso. Ma so che questi son discorsi noiosi, soprattutto fatti da un allenatore che ha incassato 28 gol in tre partite. Quanto al comportamento, i miei bambini hanno avuto una crescita pazzesca, quasi incredibile. Ma io sono di parte, chiedete agli allenatori delle altre squadre».
Quale futuro avrà la New Team?
«È strettamente legato a quello del progetto “Nessuno Fuorigioco”. Noi abbiamo già iniziato la progettazione dell’anno venturo, ma ancora certezze non ce ne sono. Posso anticipare che “Nessuno Fuorigioco” ha intenzione di iniziare a camminare con le proprie gambe, abbiamo voglia di diventare grandi anche noi. Sarebbe bello, comunque, avere almeno un paio di squadre e coinvolgere le bambine, attualmente assenti. E poi abbiamo bisogno di bambini non rom».
Potrà aumentare il numero delle squadre su cui lavorerete? Pensa che sia percorribile la strada che porta al calcio a 11?
«Speriamo di sì, trovando le risorse, non solo economiche, per poter crescere e coinvolgere un numero sempre maggiore di bambini e ragazzi. Il calcio a 11 è il sogno, secondo me ce la facciamo. Tra un po’ di tempo, però…»
Se potesse tornare a qualche mese fa, ricomincerebbe tutto da capo? Se sì, cambierebbe qualcosa?
«I bambini che mi aspettano in fila fuori dagli spogliatoi con lo sguardo fiero e concentrato, il calore degli amici che urlano al di là della rete, la gioia per quei primi gol fatti che fanno dimenticare la frustrazione dei tanti subiti, l’abbraccio collettivo con il pubblico e i giocatori alla fine. Si, rifarei tutto. Cambierei qualcosa, ma oramai è andata così. Bisogna pensare alla prossima gara: non dicono così gli allenatori veri?».
Il calcio è davvero veicolo di integrazione?
«Il calcio è un gioco, è uno strumento, uno strumento straordinario. Tutti amano il calcio, tutti lo seguono, se c’è una partita di bambini io, nonostante la fretta, la guardo. Tifo. Il calcio insegna le regole ed insegna il rispetto per se stessi e per gli altri. il calcio insegna a stare in gruppo. Dopo sei mesi di “Nessuno Fuorigioco”, ne sono sempre più convinto».
(Il servizio completo sul giornale in edicola da giovedì 5 aprile)

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