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«I miei 1500 chilometri a piedi per ricordarmi di essere sopravvissuto a 33 anni di eroina»
Cronaca bianca
Antonello Micali
03 Giu 2014
«I miei 1500 chilometri a piedi per ricordarmi di essere sopravvissuto a 33 anni di eroina»

Il viaggio più importante della sua vita, Vincenzo Torraco lo ha iniziato quando ormai diversi anni fa, dopo 33 anni di tossicodipendenza dall’eroina, ha deciso di uscire dal tunnel della droga; e quello che si presta a fare adesso ne è il suggello, e mica tanto solo simbolico di questa guerra che ora si può dire vinta.
Vincenzo, a 56 anni suonati, domani, parte per Santiago de Compostela, per un pellegrinaggio vecchia maniera, completamente a piedi dalla Francia, attraverso i Pirenei, fino al celebre luogo di pellegrinaggio spagnolo. Per riuscire nell’intento, da oltre due anni, si allena duramente, percorrendo una trentina di chilometri al giorno, a piedi e di corsa: «Mi sono ripulito le vene, ed ora con questo allenamento anche il cervello, oltreché il fisico. Ho perso 40 chili in meno di un anno – spiega Vincenzo – dimostro meno anni di quando ne avevo 30, ed ora finalmente vedo chiaro su quella che è stata la mia vita, i miei fallimenti, le mie esperienze da sopravvissuto della “scimmia” targata anni ’70-80: quanti miei coetanei ho visto morire in tutti questi anni… Tutte cose che ora cerco di ribaltare con un gesto “epico” di riscatto, e con la voglia di diventare un manifesto (per fortuna vivente) per i ragazzi che cadono nel baratro delle dipendenze. Insomma il concetto è che se ce l’ho fatta io, ce la possono fare anche altri ragazzi. Con l’auspicio, magari, che lo facciano meno tardivamente di me, che in fondo ho avuto una fottuta fortuna a rimanere vivo».
Vincenzo, da anni seguito dallo staff del Sert dell’Asl To4 guidato dalla dottoressa Angela De Bernardis e dai servizi sociali (attraverso i quali effettua lavori saltuari di pubblica utilità), con la “guarigione” dalla sua dipendenza ha elaborato una voglia di vita ed un’energia che dice di non aver mai avvertito nemmeno quando era giovane: «Mi piacerebbe parlare alle scuole – continua – aiutare gli insegnanti a fare corretta informazione sui pericoli delle sostanze stupefacenti che oggi sono molte di più ed anche più subdole, utilizzandomi… certo, ne sarei fiero: sono un trattato vivente di cosa vuol dire buttare una vita, un lavoro consolidato, la famiglia, l’amore dei figli con la droga, ma anche che se trovi un nuovo senso di vita non è mai finita… non è mai troppo tardi: e naturalmente vorrei ricominciare a lavorare seriamente, riconquistando la fiducia dei miei concittadini e delle persone che mi vogliono bene. Parto anche per questo».
Vincenzo mancherà dalla sua Ciriè e ai suoi affetti, cui vuole disperatamente dimostrare di non essere più uno “zoombie”, ma un uomo nuovo dotato di rinnovata fede e coraggio nella vita, almeno due mesi e mezzo: la prova fisica e spirtuale che ha scelto non è affatto uno scherzo; alla fine, se tutto andrà come deve, i chilometri percorsi a piedi saranno quasi 1500: ha già una mappa delle soste e delle tappe e i risparmi dei lavoretti compiuti in questi anni e di una piccola pensione sociale (80 euro, ndr) per concedersi qualche ostello.
Ad occuparsi della preparazione del suo viaggio, dalla logistica all’equipaggiamento, alla “salute dell’anima”, la parrocchia di Ciriè: «Vincenzo nell’organizzare questo suo viaggio è stato molto determinato fin dall’inizio, prendendo la cosa molto sul serio – spiega don Luciano Tiso, che insieme al diacono don Carlo Mazzucchelli sovraintende l’iniziativa – noi gli abbiamo dato, naturalmente volentieri, solo una piccola mano… e due libri di preghiere, tra cui il Credo. Ne avrà bisogno». Ma sul fatto che Vincenzo creda nella riuscita dell’impresa non sembrano esserci dubbi.
Buon viaggio Vincenzo… e, soprattutto, buon ritorno…

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