È sempre un’operazione interessante, tra la chiave storica e quella meramente cronachistica che peraltro ci compete, riprendere fatti e riflessioni di tre anni fa (scritte nel clima post-elettorale del 2022) e metterle a confronto con la cronaca rovente di questi giorni a Torino. Il contrasto tra le promesse della Destra di allora, la gestione del Comune a guida PD e la realtà degli scontri per l’Askatasuna offrono uno spaccato perfetto sulla tensione tra “ordine” e “spazi sociali”. Rileggere oggi quanto scritto nel 2022 (su queste colonne e non solo), tra la vittoria elettorale del centrodestra e le promesse di sgombero a Torino, provoca un effetto di “déjà-vu” quasi amaro. Se allora si parlava di legalità come bandiera elettorale, i fatti di questi ultimi giorni dimostrano che lo scontro tra decoro urbano e autogestione è una dinamica profonda che prescinde dai governi, ma che finisce sempre per esplodere nelle strade: e questa volta pure in una redazione

Le immagini degli scontri in corso Regina Margherita e lo sgombero forzato del Centro Sociale Askatasuna sembrano il fotogramma finale di un film iniziato tre anni fa. Era l’indomani della vittoria del centrodestra guidato da Giorgia Meloni quando Augusta Montaruli e Patrizia Alessi (FdI) celebravano lo sgombero dell’Edera Squat come una «vittoria contro il degrado », lanciando un ultimatum chiaro: «Ora tocca a Askatasuna. La Giunta Pd dimostri se sta dalla parte dei cittadini onesti o degli autonomi».

Oggi, quel momento è arrivato, ma con un carico di tensioni che riapre ferite mai rimarginate. La cronaca di questi giorni, fatta di barricate e cariche della polizia, ci impone di rileggere quanto scrivevamo allora, quando il dibattito si divideva tra la retorica della legalità e la difesa di spazi che, pur nell’illegalità dell’occupazione, offrivano risposte sociali in quartieri spesso abbandonati.

Guerra ideologica società dei consumi
Tre anni fa, attivisti come la ciriacese Giulia Sopegno di Potere al Popolo osservavano come la lotta alle occupazioni non fosse una prerogativa della destra, ma un asse trasversale che uni-va destra e sinistra in nome del decoro urbano. Il paradosso, sollevato allora e drammaticamente attuale oggi, è la distinzione tra “buona e mala movida”: uno spazio è accettabile se produce profitto e consumo; diventa un problema di ordine pubblico se offre cultura fuori dai circuiti commerciali o assistenza materiale attraverso pranzi collettivi e solidarietà dal basso. Lo sgombero di Askatasuna non è dunque solo l’adempimento di una promessa elettorale della destra, ma il culmine di una pressione istituzionale che vede il Comune di Torino stretto tra la necessità di “normalizzare” la città e l’incapacità di integrare percorsi di autogestione.

Il “clima Digos”: da Ciriè a corso Regina
Rileggere oggi l’episodio avvenuto nel 2019 al circolo Arci “La Soce” di Ciriè – quando i carabinieri, su richiesta Digos (Salvini era al Viminale, ndr) entrarono per filmare il pubblico di una serata di Stand-up comedy – fa riflettere su quanto certi metodi di monitoraggio del dissenso siano radicati. Quell’intervento, apparentemente “gentile” ma privo di spiegazioni, era forse il sintomo di una sorveglianza che colpiva non il crimine, ma l’appartenenza a una visione del mondo non omologata? No Tav, attivisti per i diritti civili, giovani fuori dagli schemi. Oggi, quella tensione si è spostata dai circoli di provincia alle barricate urbane. Se tre anni fa si chiedeva al sindaco Lo Russo di trasformare gli stabili occupati in “centri incontro nel segno della legalità”, la realtà odierna ci restituisce uno scenario di macerie. Lo sgombero di Askatasuna rischia di essere un’operazione di “chirurgia urbana” che rimuove il problema visibile ma lascia una ferita sociale profonda.

La sfida della Democrazia
Come si scriveva all’indomani del voto del 2022, la partecipazione di famiglie, giovani e anziani a realtà diverse dal sentire della maggioranza (che vota) «si chiama Democrazia»; ricordandosi anche però che assaltare un giornale non rientra in tali prerogative. Lo scontro a Torino non riguarda solo un edificio in corso Regina Margherita, ma la capacità di una città – e di un Paese – di tollerare e gestire spazi di dissenso e di alternativa sociale senza ricorrere sistematicamente al binomio scontri-manganello. Mentre la politica festeggia o si giustifica, resta il dubbio che, rimosso il “degrado” delle occupazioni, resti solo il vuoto di quartieri sempre più simili a vetrine e sempre meno a comunità…
(foto servizio di Costantino Sergi)


