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30 anni ai complici di Agresta
Cronaca bianca
Gianni Giacomino
20 Feb 2012
Volpiano
30 anni ai complici di Agresta

Il procuratore generale Marcello Maddalena, ha chiesto una condanna a 30 anni per Vincenzo Solli e Maxwell Caratti nel processo di appello per l’omicidio di Giuseppe Trapasso.
Si tratta del piastrellista 23enne di San Benigno ucciso, nell’ottobre del 2008, con due colpi di pistola alla testa e ritrovato carbonizzato in un’auto, bruciata in località San Giacomo di Borgiallo, nei boschi della Valle Sacra. In pratica, secondo il dottor Maddalena, Solli, 46 anni, di Cuorgnè e Caratti, 30 anni di Settimo Torinese, non avrebbero avuto un ruolo marginale nell’omicidio. Da qui la pesante richiesta del procuratore.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti quella di Trapasso fu un’esecuzione maturata nel mondo della ‘Ndrangheta torinese, a causa di un debito di droga non pagato. A uccidere materialmente il piastrellista fu Domenico Agresta, di Volpiano, già condannato a 30 anni in appello. Solli e Caratti invece, condannati a 25 anni di reclusione in primo grado, secondo l’accusa erano complici di Agresta e avrebbero partecipato all’omicidio e al successivo rogo per cadavere. Per questo il procuratore generale Marcello Maddalena ha chiesto un incremento della pena. A poco è valsa la decisione di Solli, difeso dagli avvocati Anna Giuliucci e Paolo Maisto, di collaborare con gli investigatori. Con la sua testimonianza-confessione inchiodò di fatto Agresta che si guadagnò l’ergastolo, nonostante la scelta del rito abbreviato. Il ventenne fu poi catturato nei pressi di Roma, mentre stava tentando di fuggire.
Tutto avvenne il 16 ottobre del 2008. Nel night club Kiss Kiss di Priacco, una frazione di Cuorgnè, numerosi testimoni notarono la vittima insieme ai suoi tre “amici”. Nessuna lite, nessuno episodio che potesse far presagire quello che di lì a poco sarebbe successo. Anzi, il gruppo sembrava divertirsi tra coppe di champagne, musica e belle donne. Trapasso lasciò poi il locale. Sulla sua Alfa Romeo 145 color verde salì il suo assassino. Non si sa bene dove e quando Agresta premette il grilletto per sparare due colpi alle nuca di Trapasso. A questo punto iniziò poi tutto il lavoro per occultare il cadavere. E, secondo i magistrati, sia Caratti (una specie di autista-guardiaspalle di Agresta) che Solli, sapevano molto bene cosa fare.
Lo dimostrano le conversazioni ai telefonini cellulari.
Il cadavere venne poi trasportato nei boschi di Borgiallo, come previsto qualche ora prima da Agresta. Quest’ultimo impartì ordini a Caratti e a Solli. Da quello che è stato ricostruito dagli inquirenti, proprio il 47enne di Cuorgnè, si occupò di portare in località San Giacomo una tanica di benzina.
Il progetto era abbastanza chiaro: incenerire tutto per far sparire qualunque traccia. Infatti il corpo venne dato alle fiamme all’interno dell’auto, nel vano tentativo di cancellare le prove di un collegamento tra la vittima e i suoi carnefici. Il piano dei tre, però, si rivelò subito ingarbugliato e poco preciso. Anche perché, poco prima della scomparsa di Trapasso, diverse persone li avevano visti girare insieme.
Aveva 23 anni Giuseppe Trapasso, piastrellista di San Benigno. Da qualche tempo girava insieme a Domenico Agresta, figlio di Saverio e nipote di Antonio Agresta, due potenti boss della ’Ndrangheta calabrese.
Brutte compagnie, finite proprio in quel periodo nel mirino della Direzione Distrettuale Antimafia.
Gli inquirenti hanno sempre sostenuto che l’omicidio Trapasso era finalizzato a punire chi, all’interno di una piccola organizzazione criminale, aveva sgarrato. Il movente? Quello ipotizzato sin dall’inizio: la droga. Forse una partita di cocaina non pagata. Oppure, il tentativo, da parte della vittima, di fare un salto di qualità negli ambienti criminali del Canavese. Qualcosa che, comunque, non era piaciuto ne ad Agresta ne ai suoi due complici che gli inquirenti hanno sempre considerato di un basso profilo criminale, nonostante la provenienza di Agresta.

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