Tra poco meno di un mese, ovvero domenica 8 e lunedì 9 giugno, tutti i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque referendum abrogativi: quattro riguardano il mondo del lavoro e uno, invece, la cittadinanza.
Si tratta di referendum abrogativi, in cui si propone ai cittadini di approvare o meno la cancellazione di una legge o di una sua parte. Saranno validi solo se andrà a votare la maggioranza delle persone che hanno il diritto di farlo, cioè almeno una in più della metà, come prevede l’articolo 75 della Costituzione. Questa soglia minima di partecipazione al voto è il cosiddetto “quorum”.
Per la prima volta, inoltre, gli elettori fuori sede potranno votare senza dover tornare nella loro città. Chi andrà a votare riceverà una scheda per ogni quesito referendario: cinque schede di colore diverso. Ogni scheda contiene una descrizione della norma che potrebbe essere cancellata in tutto o in parte, e chiede a chi vota se è favorevole alla cancellazione. Quindi, per abrogarla bisogna votare “sì”, per mantenerla bisogna votare “no”. Si potrà votare domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15. Gli italiani residenti all’estero possono partecipare ai referendum attraverso il voto per corrispondenza.
Licenziamenti illegittimi e contratto a tutele crescenti (scheda verde) Si propone l’abrogazione di uno dei decreti del Jobs act che riguarda il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti introdotto nel 2015. Cancellando il decreto si ristabilisce l’obbligo di reintegro del lavoratore nel suo posto di lavoro in tutti i casi di licenziamento illegittimo, come prevedeva fino al 2015 l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. La questione riguarda i lavoratori assunti dal 2015 in poi in aziende con più di quindici dipendenti. La legge numero 23 del 4 marzo del 2015 è stata oggetto di varie sentenze della corte costituzionale e della corte di cassazione, che hanno stabilito l’incostituzionalità di alcune sue parti o hanno dato interpretazioni restrittive della sua applicazione.
Indennità in caso di licenziamento nelle piccole imprese (scheda arancione) Il quesito chiede se si vuole eliminare il tetto massimo all’indennità dovuta ai lavoratori per i licenziamenti illegittimi nelle aziende con meno di quindici dipendenti, consentendo al giudice di determinare l’importo senza limiti predefiniti.
Contratti a termine (scheda grigia) I cittadini devono decidere se abrogare alcune norme che stabiliscono quand’è che un’azienda può assumere lavoratori con contratti a tempo determinato e a quali condizioni può prolungare e rinnovare questi contratti. Cancellando le norme in vigore dal 2015 si ristabilisce l’obbligo di una “causale” per i contratti a tempo determinato più brevi di dodici mesi, cioè l’obbligo di indicare per quale motivo si usa questo tipo di contratto. Oggi l’obbligo c’è solo per i contratti a tempo determinato che durano dodici mesi o più.
Responsabilità solidale negli appalti (scheda rosa) Il quesito chiede l’abrogazione della norma che esclude la responsabilità solidale del committente (cioè chi affida un lavoro in appalto), dell’appaltatore (chi riceve l’incarico di fare il lavoro) e del subappaltatore (chi, in alcuni casi, svolge il lavoro per conto dell’appaltatore) per gli infortuni sul lavoro legati al tipo di attività che svolgono le imprese appaltatrici o subappaltatrici. In termini tecnici si parla di “infortuni derivanti da rischi specifici dell’attività delle imprese”. L’espressione “responsabilità solidale” indica che tutti i soggetti coinvolti (in questo caso committente, appaltatore e subappaltatore) hanno gli stessi obblighi, per esempio di risarcimento, verso chi subisce un danno di cui sono responsabili. Oggi la responsabilità solidale negli appalti non è prevista. Se invece dovesse vincere il sì, in caso di infortunio di un lavoratore dovrebbero risponderne anche il committente. Questo ha ovviamente delle ricadute soprattutto in settori come l’edilizia.
Cittadinanza (scheda gialla) Oggi per avere la cittadinanza italiana le persone maggiorenni nate in un paese esterno all’Unione europea devono risiedere legalmente in Italia per almeno dieci anni. Il quesito propone di cancellare questa norma per tornare a quella precedente, in cui si stabiliva che gli anni di residenza necessari erano cinque. Tutti gli altri requisiti per ottenere la cittadinanza previsti dalla legge del 1992, invece, non sono modificati.