LEMIE — I 38 rifugiati politici hanno lasciato Lemie, dove erano arrivati una mattina di maggio del 2011. Se ne sono andati quasi tutti. Al Cottolengo sono rimaste le famiglie di Jurg Bamedig, fuggito dal Camerun e di Ndibu Bamuila, originario del Congo. Sono gli unici due che hanno trovato un lavoro come muratore. Anzi Jurg Bamedig, insieme alla moglie Edith e alle due figlie di tre anni e mezzo e otto mesi, hanno deciso che la Valle di Viù potrebbe diventare la loro casa. Oggi sono ancora alloggiati nel Cottolengo ma, nelle prossime settimane, dovrebbero trasferirsi in un appartamento di Viù. «Dove poi dovranno arrangiarsi e camminare con le proprie gambe» – spiegano i responsabili di Connecting People, l’associazione che ha gestito centinaia di profughi sparsi nel Torinese. Quella di Jurg è stat una scelta difficile, ma coraggiosa. «Se qui c’è il lavoro, non ci sono problemi» – sorride il 27enne che in Camerun ha lasciato amici e parenti. Una volta Jurg era un calciatore professionista nella massima divisione del Camerun: «Giocavo a calcio e basta» – dice. Oggi fa il muratore per un’impresa edile di Lemie. È cresciuto in una grande città, sempre sotto un sole rovente. In Val di Viù ha conosciuto l’inverno, la neve, il gelo, altre abitudini, un mondo completamente diverso dal suo. Dal Sahara alle Alpi. Un cambiamento di vita sconvolgente. «Certo – ammette Mauro Maurino, consigliere di amministrazione del consorzio Connecting People – infatti ad alcuni di loro non abbiamo nemmeno chiesto se erano intenzionati a restare, perché sappiamo che desiderano tornare a casa al più presto».
Al Cottolengo è rimasto anche Ndibu Bamuila, 35 anni, congolese. Lui, tutti i giorni, sale sulla corriera e scende fino a Germagnano, dove ha trovato impiego in un’azienda edile. Ma è stato chiaro fin da subito. «Qui non vorrei restare, perché non c’è nulla – dice Ndibu – insieme alla mia famiglia, mi piacerebbe scendere più in basso, vicino ad una città più grande».
E così, alla fine, sui 38 extracomunitari (11 erano rifugiati politici, gli altri tutelati da un permesso umanitario), sono rimastei due nuclei familiari.
«Da qualche parte bisogna pur cominciare con l’integrazione – riflette Giacomo Lisa, il sindaco di Lemie – non è stato per niente facile gestire quelle 38 persone che abbiamo ospitato per più di un anno e poi sono state smistate in diverse zone d’Italia». «Alla fine cosa è rimasto ? Nulla – incalza Lisa – anche perché, nonostante tutti gli sforzi sostenuti, non si è mai creato un vero legame tra i rifugiati e la gente. Comunque è già un grande risultato che, almeno un nucleo familiare, abbia deciso di provare a vivere qui, in una montagna sempre più dimenticata».
19 Set 2012
Profughi: a Lemie rimangono due famiglie