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Nomi da appuntarsi. Federica Nalin: «L’arte è una collettiva»
Meno35
28 Nov 2012
San Carlo
Nomi da appuntarsi. Federica Nalin: «L’arte è una collettiva»

Federica Nalin, 26 anni, nata e cresciuta a Lanzo, ora residente a San Carlo. Dal Primo Liceo Artistico di Torino all’architettura alle collettive di pittori in giro per l’Italia e l’Europa.
Qual è la tua professione attualmente?
«Sono laureata in architettura e lavoro per uno studio a Torino: ci occupiamo di strutture temporanee, come ad esempio il cantiere della “Bella Italia” a Venaria Reale. Il mio lavoro mi piace, e soprattutto mi permette di comprare le tele e i colori per dipingere nel resto del mio tempo, e partecipare alle collettive».
Com’è nata la tua passione per l’arte?
«Ho sempre amato disegnare e dipingere: ho lottato, dopo la scuola media, per poter frequentare il Liceo artistico a Torino: i miei genitori erano spiazzati, soprattutto all’idea che la loro “bambina” lasciasse i monti per andare a scuola in città… Avrei voluto iscrivermi all’università a scenografia, ma i miei professori mi hanno consigliato architettura. Ho sempre continuato a dipingere: aerografie, trompe l’oeil, dipinti, quadri accademici, ma non opere mie che tirassero fuori il mio estro. La prima volta è stata nel 2009, quando ho deciso di partecipare a Paratissima con due miei compagni d’arte: primo quadro, prima vendita: ad un astrologo che sembrava Mago Merlino… Poi non ho più venduto nulla! Dopo una settimana ho passato tutti i giorni a piangere: ho patito a staccarmi dalla mia creazione!».
Se ne avessi la possibilità vorresti che diventasse il tuo lavoro?
«Quando ci penso provo sentimenti ambivalenti: da una parte mi piacerebbe che lo diventasse, dall’altra ho paura che possa diventare stressante e quindi di non avere più lo stimolo e le idee necessari. Forse se potessi scegliere un lavoro a livello artistico non penserei proprio ai quadri, quanto alle scenografie ed eventualmente all’areografia nella carrozzeria di famiglia».
Cos’hai areografato?
«La prima areografia che ho fatto è stata per una Fiat 500: si tratta di un Paperino “schiacciato” su un plexiglass che ti guarda dal lunotto posteriore. Poi un ragazzo di Bardonecchia ci ha portato la sua Dodge americana per avere delle fiamme per metterla nel suo locale: la macchina è arrivata già tagliata a metà, con Andy Warhol e Marylin Monroe disegnati sul parabrezza. Siccome serviva solo il muso della macchina, mio padre l’ha ulteriormente tagliata e intelaiata internamente perché la carrozzeria non rimanesse molle; poi da giallo limone che era l’abbiamo verniciata di nero e disegnato le fiamme. In carrozzeria ho tutto quello che mi serve per fare areografie professionali, dai prodotti, ai materiali per carteggiare e stuccare, al forno…»
Mettete le macchine in forno?
«Si, certo: qualsiasi superficie areografata va cotta, anche le macchine. Anzi, si lavora dentro al forno già mentre si lavora, perché il forno aspira le polveri».
Come sono organizzate le collettive?
«Sono mostre composte di opere di più artisti; rispetto a quelle personali (che ti portano via quasi uno stipendio) costano molto di meno: si paga l’affitto dei locali, il vernissage (ovvero l’organizzazione dell’evento da parte del curatore), il corriere… Indicativamente per partecipare ad una collettiva si spendono 100/200 euro. Una delle più importanti a cui ho partecipato è stata la “54° Esposizione Internazionale d’arte della Biennale di Venezia” allestita nella Sala Nervi del Padiglione Italia a Torino a cura di Vittorio Sgarbi. Per il resto alcune mie opere sono esposte in modo permanente (insieme ad altri artisti tra cui lo scultore di Corio Maxo della Rocca) nello spazio della mia curatrice a Torino, lo Spazio Accorsi».
Qual è il tuo stile?
«Non ho modelle su cui lavorare, né un atelier (bensì il garage dove giocavo con mio fratello da piccola!), per cui di solito per le figure umane fotografo me stessa e poi parto col quadro. Gioco molto con le composizioni ma senza scivolare nell’astratto, per ora. Amo il figurativo: è sempre presente la figura umana, è il bello del quadro. Inoltre gioco molto con le cornici, che spesso vanno oltre al quadro, e mi è capitato di fare delle figure al computer (con Photoshop, ad esempio), di farle stampare sulla tela e poi di lavorarci sopra a mano».
A cosa stai lavorando adesso?
«Finora sono stata molto incentrata sulle donne calve: non perché malate ma per far risaltare il più possibile il loro volto e i loro lineamenti, che io trovo essere la vera bellezza; una cosa che non ho mai provato, seppur in alcuni miei trittici le figure femminili abbiano dei tratti cupi, mascolini, è di affiancare alle mie figure femminili una maschile. Questo è il mio obiettivo per il futuro».
Per informazioni e contatti visitare il sito www.fedart.blogspot.it.

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