C’è un confine a volte labile tra una notizia e una leggenda metropolitana, nulla però che non possa essere verificato, e abbastanza semplicemente, a maggior ragione da giornalisti quanto meno seri e, ovviamente, in buona fede.
Ma se la leggenda metropolitana, oggi ancor più potentemente veicolata dai social network, assurge ad articolo di cronaca, peraltro ad apertura del settimanale che ne fa la sua prima notizia, le cose sono due: o il malcapitato collega è incappato in un colossale scivolone che comprende (per qualche motivo) la totale mancanza di verifica delle fonti che avrebbero potuto confermare in via ufficiale l’episodio; oppure il rischio che la tentazione di un facile e ammiccante titolo ed annessa sebbene estemporanea crescita di vendita oramai vinca su tutto. Con danno non solo ai cittadini, ma alla stessa informazione e ai suoi operatori che invece agiscono seguendo i codici deontologici e professionali, che sono poi quello che fa la diferrenza tra giornalisti e smanettoni di Facebook o Twitter che sia. E scusate se è poco… di questi tempi di crescente delegittimazione della categoria, poi…
Il riferimento, per chi non l’avesse capito, è alla notizia (falsa!) della donna di Ciriè che va a mangiare in un ristorante orientale e che finisce in ospedale, dove i sanitari di lì a poco scopriranno che all’origine del disturbo c’è un microchip di cane nello stomaco. La carne consumata era, dunque, quella di un cane. Era una bufala, invece, che ha campeggiato però alcune settimane nelle edicole della zona.
Non era vero niente. Chi scrive lo scoprì esattamente pochi minuti dopo averla letta sulla pagina del profilo facebook di un’amica. Chi scrive non sapeva che la stessa notizia viaggia sulla rete, rimbalzando da un parte all’altre del mondo, da almeno il 2007 e che il microchip viene inserito sottopelle e non nel muscolo dell’animale ma, anch’esso incuriosito, alzò la cornetta e chiamò Asl e Nas, che smentirono, immediatamente e reiteratamente il tutto. E pertanto niente articolo ma anche niente futura figura di M…
Vabbè, facciamo finta che non è successo niente allora: allora un corno! Perché al netto dei dettagli omessi sul nome della protagonista o sul ristorante incriminato, naturalmente perché non esistevano, la vicenda si prestava e ancor si presta a destare rabbia e indignazione, facendo leva su pregiudizi razzistici.
Sulla rete, già… bastava solo controllare, la notizia compare di volta in volta ambientata in una zona diversa dell’Italia. Cui segue, puntualmente, la smentita e la reazione dei destinatari dei pregiudizi di cui sopra: ristoratori etnici, cittadini stranieri offesi gratuitamente, che ora protestano anche alle nostre latitudini, giustamente, contro una campagna (nel 2013 sic) avvilente, che provoca loro danni economici e morali.
Ne valeva la pena?
Perché un conto è la satira, e nessuno avrebbe avuto da ridire sui luoghi comuni che animano alcune barzellette sulle peculiarità etniche e culturali di qualsiasi razza dell’umanità (come mostrano i Fucktoutum nel pezzo Cucine Etniche, http://www.youtube.com/watch?v=veHI3R_qevo), un’altra cosa è la cronaca; e con essa la correttezza, almeno negli intenti, professionale di chi sa già che nell’esercizio del dovere dell’informazione è implicitamente compresa la potenzialità di far del male a qualcuno, cui proprio per questo la gratuità nel farlo risulta inaccettabile.
Sull’argomento si veda anche: http://blog.quotidiano.net/fiechter/2013/04/04/difendetevi-dalle-leggende-metropolitane/ http://www.queryonline.it/2013/04/24/un-chip-di-cane-no-di-bufala/comment-page-1/#comment-14575 http://blog.quotidiano.net/fiechter/2013/04/04/difendetevi-dalle-leggende-metropolitane/