“Più simili di ciò che pensi“. Un’iniziativa, un messaggio, una filosofia. Ford Authos ha ufficializzato la sua collaborazione con “A.I.R. Down“, associazione con sede a Moncalieri che dal 1999 promuove iniziative per l’inclusione sociale delle persone con la sindrome di Down.
Come per il progetto con l’istituto “Birago”, anche questa è un’idea voluta fortemente dal nostro presidente e CEO, Francesco Di Ciommo. Ad animarla, due obiettivi: aiutare le persone più bisognose e diventare un’azienda virtuosa. «Siamo una realtà con dei valori importanti» – dice Di Ciommo – «che però, sempre rimanendo nel territorio, vogliamo trasferire anche al di fuori dell’ambito economico. Per esempio, nel sociale. A favore di chi è meno fortunato». Poi aggiunge. «Attraverso questi contenuti facciamo in modo che l’azienda sia più virtuosa e possa concretizzare questa sua scelta nella redazione del bilancio sociale e nell’ottenimento della certificazione ESG». Un traguardo, quest’ultimo, raggiunto da Authos al termine del 2021.
Queste parole trovano sintesi in un concetto centrale della nostra mission: inclusione. «Inclusione» – prosegue Di Ciommo – «significa dare un’opportunità alle persone che hanno dei deficit». In che modo? «Facilitando il loro inserimento nella vita quotidiana attraverso opportunità formative e lavorative che li consentano di essere indipendenti e ambire ad una vita non basata sull’assistenzialismo».
Da queste premesse è nata la partnership con “A.I.R. Down“. Un’associazione senza scopo di lucro e molto attiva affinché chi ha la sindrome di Down sia protagonista del suo percorso di crescita. Senza esser visto come un oggetto bisognoso di perenne sostegno o, peggio ancora, venire emarginato. Come invece purtroppo accade ancora nella società dei nostri giorni.
Nel mondo della scuola, per esempio, ad alcuni allievi vittime di questa malattia è capitato di essere allontanati perché ritenuti elementi di disturbo. Mentre negli ambienti di lavoro responsabili della selezione del personale hanno dovuto scegliere persone con meno problematiche possibili. Perché secondo i loro vertici, se uno fatica in un’azione comune, come lavarsi i denti, di conseguenza avrà problemi anche a svolgere mansioni di ufficio.
Ma in Authos la pensano diversamente. E credono che il compito di un’azienda sia abbattere questi stereotipi e divulgare un messaggio che va nella direzione opposta. Quella che riduce le differenze e favorisce l’integrazione. Includere, per l’appunto. Cioè la base della collaborazione con “A.I.R. Down”, che si propone più target. Come fornire consulenza e supporto operativo nella sensibilizzazione e nella comunicazione del tema della disabilità. Oppure realizzare progetti ad hoc, interni ad Authos, per la formazione e l’avvio del percorso lavorativo dei ragazzi portatori di questo handicap. Fino a creare network con altre aziende per coinvolgerle in inserimenti professionali e sponsorizzazioni economiche o di servizi.
Da ultimo, siccome gli orizzonti di Authos non si limitano alla Regione Piemonte, c’è la volontà di diffondere informazioni sul tema anche a livello nazionale. Per riuscirci, l’intenzione è definire una rete per l’inserimento professionale dei più giovani, formata da più partner aderenti a “The Hiring Chain”, la campagna mondiale di inclusione lavorativa.
Però «un’azienda deve dare l’esempio. L’impegno a fare inclusione deve essere reale. Sia da parte dell’imprenditore che di tutte le persone che lo circondano» ricorda Di Ciommo. Che cita la storia di Stefano, una delle risorse di Authos. «Un ragazzo con la sindrome di Down, con noi da sei anni, è riuscito ad avere un lavoro, fidanzarsi, essere indipendente e avere una casa per conto suo. Come una persona normale. E questo è un successo molto più importante di quelli che possono essere i conti economici o i profitti. Perché si è affermato un valore che accomuna tutti noi e che però troppo spesso è dimenticato. Questa virtuosità aumenta anche il valore concreto dell’azienda, che si differenzia sul mercato non solo per le abilità manageriale, ma anche per l’elemento inclusivo sociale».
Perché “più simili di ciò che pensi” oltre che un’iniziativa, un messaggio e una filosofia, può essere anche una realtà. Una bella realtà.