È stato interrogato dagli uomini della polizia giudiziaria del pm Francesco Pelosi Gianni D., quarantenne residente a Leini, dove è tuttora sottoposto agli arresti domiciliari. L’interrogatorio dell’uomo, che nei mesi scorsi ha inviato un esposto sulle presunte illegalità perpetrate a lui e ad altri detenuti da alcune guardie carcerarie si è svolto nei locali della caserma dei carabinieri. A coordinare l’indagine, lo stesso magistrato che la scorsa estate ha messo sotto inchiesta il sistema penitenziario torinese con 25 indagati eccellenti tra vertici e guardie carcerarie.
Gianni D., che deve finire di scontare pendenze con la giustizia per reati contro il patrimonio, spiega che non appena uscito dal carcere delle Vallette ha deciso di raccontare quanto vissuto e soprattutto denunciare quello che, secondo il tenore delle sue parole, sarebbe stato un vero “sistema di illegalità e violenze”. L’esposto è stato redatto con l’avvocato Alessandro Ramo l’estate scorsa, proprio nei giorni in cui scoppiava lo scandalo delle carceri torinesi, inchiesta che ha già portato al resettamento della catena di comando del sistema penitenziario, praticamente contestualmente alla chiusura delle indagini dei magistrati di Torino.
Depositato prima alla Procura della Repubblica di Imperia e poi inviato per competenza a quella di Torino, l’ex detenuto, oltre alle violenze e agli abusi cui avrebbe assistito e di cui sarebbe stato in alcune occasioni a sua volta vittima, denuncia nell’esposto «l’omertà del sistema di vigilanza » e, in alcuni casi, la collusione con i gravi illeciti molto simili a quelli del polverone che si sarebbe di lì poco abbattuto sui vertici penitenziari torinesi: vessazioni e abusi di ogni genere, anche sessuali e poi violenze e quel sistema di controllo e spaccio di stupefacenti in carcere, che sarebbe stato anche questo nelle mani di alcune guardie.
Gianni D., 39 anni, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine locali, ha deciso che doveva – un dovere morale quello di cui parla anche in tante lettere scritte nei mesi scorsi al suo legale – testimoniare: e lo fa facendo nomi e cognomi, «Perché è vero, non sono un santo, ho sbagliato e sto pagando il mio conto con la giustizia facendomi tre anni di prigione (dal luglio 2017 all’aprile 2020, ndr) ma non è umanamente oltreché legalmente sostenibile che tutto questo capiti nelle carceri. Ho visto morire due compagni – molto probabilmente a causa degli abusi di cui parlo nella mia denuncia – questa storia la devono conoscere tutti. Il “sistema Cucchi” io l’ho vissuto (l’uomo denuncia lesioni e la rottura di un dente per le percosse ricevute) e molti altri continuano a subirlo».
Nomi, cognomi, di compagni e guardie coinvolti, dettagli quali il numero dei blocchi dove sarebbero avvenuti tali abusi e il “nascondiglio” con le palline di droga gestito da carcerieri e carcerati, c’è tutto questo nella denuncia, «insieme – dice Gianni – alla voglia, per una volta, di essere pro e non contro la Giustizia».